Il finale non è una sorpresa, è un coronamento, una logica conseguenza. Il mondo di David e di Elijah palesa pian piano la sua assurdità, la sua inverosimiglianza, la sua follia nascosta. Tiriamo un attimo le somme: David, l’eroico David dalla mantella verde, ha salvato due bambini (i genitori, niente da fare) da uno psicopatico (anche qui, come nel caso di Elijah, la deformità che un Jack Kirby avrebbe reso grottesca ed evidente è nascosta dalle metafore, ma in maniera più grossolana: Orange Man veste come un galeotto, e fa un mestiere che nella vecchia India sarebbe riservato ai pariah). Perché potesse arrivare a questo, perché potesse realizzare il suo potenziale inespresso, un aereo si è schiantato, un palazzo è bruciato, un treno è deragliato: centinaia di morti, di vittime sacrificali (una scopritrice di giovani talenti sportivi, un’insegnante di scuola, una ricercatrice nel campo della leucemia, un pediatra, un padre di numerosi figli... quanti bambini senza un affetto, senza una guida, senza una possibilità di cura in più?). Eccola qui la rivelazione, il vero paradosso, il mondo al contrario: nei fumetti bastano due morti, diciamo due coniugi Wayne, perché sorga un Batman qualsiasi a salvare centinaia di innocenti, e non viceversa; nei fumetti il male è l’ombra proiettata da chi ostacola la luce del bene ("Io ho fatto te, ma prima tu hai fatto me!" – "Non staremo andando un po’ sull’infantile?"), e non viceversa; nei fumetti, il bilancio finale non è così tragicamente in rosso. Ma il fumetto di Unbreakable continua ad avere il titolo in basso e la costa sulla destra.

La logica del fumetto, il mito dell’eroe buono invincibile, la convinzione di un bene e un male in bianco e nero ("Non si mescolano. Non c’è grigio": ah, la saggezza degli schizoidi!), portano al paradosso. "Gli amici non sparano agli amici!": non è solo comic relief, è l’ultima difesa, estrema, contro una logica folle. Joseph, il figlio di David, ne cade preda, e per poco non uccide suo padre a revolverate. Lo stesso David, alla fine, soccombe alla logica malata di Elijah, una logica fatta di coincidenze e di arrampicate sugli specchi, di passaggi logici inseriti ad hoc per giustificare questa o quella discrepanza. Il finale rivela la fondamentale fallacia del pensiero di Elijah, di David, del giovane Joseph, ne scopre i lati oscuri, e lascia intuire che forse le cose stavano diversamente già da prima.

Prima: ecco dov’è il finale a sorpresa. Distribuito lungo tutto l’arco del film, in brevi frammenti, impressioni, allusioni. Shyamalan, il nostro maestro dell’inganno, per una volta ha giocato a carte scoperte, ha confidato che saremmo stati noi stessi ad illuderci, insieme a David. Insieme a David che non ricorda se è mai stato malato, non ricorda di aver rischiato la vita in piscina (é la vecchia infermiera della scuola, una figura senza volto, a ricordarlo per lui), non ricorda il deragliamento a cui è sopravvissuto né l’incidente che gli ha stroncato la carriera. Ogni "rivelazione" è un ricordo distorto, alterato, o una "visione" di dubbia attendibilità (la stanza di Elijah è tappezzata di cianografie di ordigni esplosivi, una pistola su due è nera e argentata, e quel presunto spacciatore con la faccia da regista non aveva in tasca un bel nulla). Come David, come Elijah, come il defunto dottor Malcolm Crowe, noi vediamo e sentiamo solo ciò che ci fa comodo, che non infrange il nostro sogno di un mondo da fumetto in cui poter essere supereroi, o supercattivi. Che alla fine dei conti i poteri di David siano reali, o che non lo siano, fa poca differenza: assomigliano troppo al delirio di un pazzo criminale, e costano un senso di colpa che è ben peggio dell’inadeguatezza dell’eroe mancato.

Ancora un piccolo tratto, non manca molto...

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