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Aggiornato l'11 Marzo 2003

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Due parole dall'archivista
Accidia e Superbia

Scrittori si diventa.

Cattivi scrittori, si rimane.

La differenza, come sempre, sta nella volontà di mettersi in gioco.

La nostra tradizione religiosa ci mette in guardia da sette peccati. A farci restare cattivi scrittori, imbrattacarte che cincischiano con la lingua italiana come uno studentello con le mutandine di una ragazza, ne bastano due.

L'accidia è facile da riconoscere. Il giovin scrittore che ne è preda non si scomoda a compiere i passi preliminari necessari allo scrivere - primo tra tutti l'imparare la lingua. I congiuntivi? Non occorrono. L'ortografia? Un'altra volta. Le figure retoriche? Bah, più o meno si capiscono, chi vuoi che badi ai dettagli...

Non c'è bisogno di esagerazioni, comunque. Tipici sono gli strafalcioni geografici e storici, per tacere di discipline più rigide. Altro tema ricorrente sono le lingue straniere, mal comprese e peggio scritte, coi termini tradotti per assonanza (ricordo alcuni racconti fantasy, di qualità più che bassa ctonia, in cui ci si rifaceva a originali inglesi e in cui shrine diventava "scrigno" e staff "staffa"). E non parliamo della punteggiatura, per l'amor d'Iddìo.

La superbia, pur evidente, è insidiosa. In fondo, ogni giovin scrittore è affezionato alla sua piccola grande opera, e come ogni genitore tende a vedere il suo figliolo più bello degli altri, e bello di per sè. Che il resto del mondo non si azzardi a dissentire, o altrimenti...!

Tante, troppe volte, commentando scritti di amici e conoscenti dietro loro stessa specifica richiesta, ci si sente rispondere alle critiche (pacate e gentili e costruttive) con un'alzata di scudi e uno sbuffo imbronciato. Quel che è grave è la frequenza con cui certi sbuffi imbronciati volano, al di fuori dei circoli d'amici, rivolti da assoluti principianti a navigati professionisti o peggio da allievi a maestri.

Per scrivere non serve nessun gene speciale, nessun dono del Cielo, nessun patto col Capro.

Ma non vuol dire che sia gratis.

Scrivere costa. Per imparare a scrivere bisogna imparare a leggere, imparare la lingua dalla fondamenta alle guglie più alte. Per scrivere bisogna documentarsi, chiarire i punti oscuri, liberarsi delle approssimazioni. Bisogna rileggere, riscrivere, revisionare. Bisogna accettare il rischio di aver sbagliato tutto e dover ripartire daccapo.

Scrivere costa. Costa lo sforzo di esporre l'espressione del proprio essere al giudizio degli altri, e lo sforzo ancora maggiore di accettare l'idea che il punto di vista di qualcun altro possa essere, se non di più, almeno altrettanto corretto del nostro. Costa lo sforzo di riconoscere i propri limiti prima di poterli superare.

Scrivere costa due dei prezzi più cari: fatica e umiltà. L'alternativa è seppellire il propio talento sotto la sabbia dell'accidia e della superbia.

"A chi non ha, a quello sarà tolto anche ciò che ha".

M. S.

Un ringraziamento a Orlando dai Molteplici Pseudonimi, per una discussione su questo tema da lui proposta mesi fa, che ho seguito con silenziosa attenzione; e un inchino a Thomas Harris, a cui senza vergogna rubo una puntualissima similitudine.

Editoriali precedenti:
Settembre 2001 - Nero su Bianco



Concezione e realizzazione: Matteo Scarabelli. Un sentito ringraziamento a "Blind" Ben Bedusa per lo splendido titolo.

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