Habitué
di Matteo Scarabelli

"Ah! Buon giorno a lei!"

Si volta a guardarlo. Non lo conosce: faccia anonima, larga e tonda; occhi piccoli, occhiali grandi, capelli pochi e mal lavati. Accenna un saluto col capo, come a voler rispondere per pura cortesia, senza impegnarsi troppo.

"Proprio una bella giornata. Viene qui spesso?"

Un gesto incerto, quasi di sghembo, le sopracciglia alzate. Di nuovo, non vuole impegnarsi.

"Ah, un cliente abituale, eh? Bene, bene. Mi hanno detto che qui fanno dei cannoli siciliani niente male. Lei che dice, sono buoni?"

Il barista li sta guardando. Lui fa cenno di sì, che altro deve fare? Sputtanarlo? E poi con che faccia ci ritorna, qui, sabato prossimo?

"Ah, ma io sono esigente, sa? Mia nonna di cognome faceva Petrosino. Siciliana come un fucile a canne mozze," e ride, a singhiozzi isterici.

Sorride a mezzo. La battuta non gli piace, ma non ha voglia di contrariarlo. Gli dà un'altra occhiata. Impermeabile lungo, chiaro. Mani in tasca, gesticola poco e respira molto. Metà tenente Colombo e metà ragioniere frustrato di mezz'età. Una macchietta.

"Allora un cannolo. E un cappuccio, grazie... Legge i giornali, lei?"

Alza le spalle, spiegando che più che leggerne tanti ne legge uno, e neanche tutti i giorni.

"Telegiornali, allora? O è uno di quelli che la tivù non la guarda, che fa solo schifo e roba così?"

Non è che quello che gira in televisione gli piaccia tanto, ma non ha voglia di dare l'idea del fanatico. Risponde con due o tre sillabe d'assenso, tanto per chiarire la cosa nel modo più neutro possibile.

"Ah, bene. Bene. Allora sa del Robespierre, no?"

Nota che il tenente-ragioniere sorride un po' troppo e suda un po' troppo. Su di giri va bene, ma su di giri per certi argomenti... Gli fa presente che una cosa del genere è difficile ignorarla, vivendo nella stessa città.

"Fanno otto con l'ultima, vero?"

Fanno otto con l'ultima. Otto in meno di tre mesi, tutte ragazze giovani e tutte con la testa in un posto e il resto in un altro. Ai giardini pubblici, praticamente dietro casa di mezza città. Sta per chiedergli se è un maniaco o cosa, farlo stare zitto, insultarlo, farlo cacciare fuori dal barista. Invece conferma il numero delle vittime, e aggiunge la storia dei tre mesi, dell'età, delle teste tagliate.

"Ah, ma non taglia mica solo la testa. Secondo me è colpa dei giornalisti, sa: tutti ignoranti e troppo veloci a dare nomi a effetto. Robespierre è sbagliato. E poi Maria Antonietta non aveva mica sedici anni, no?"

Gli venga un colpo se sa quanti anni aveva Maria Antonietta. Le vittime invece hanno tutte sedici, diciassette anni; una, crede di ricordare, ne aveva quindici. Ormai è rapito dalla morbosità quotidiana, schiavo della necrofilia dell'uomo qualunque, trascinato dalla coda in autostrada che sfila a guardare i morti dell'altra carreggiata. Si ritrova a convenire, certo, che Robespierre è proprio un nome inadatto. Robespierre faceva decapitare i nobili, non le studentesse. E poi c'è la questione delle dita, ovviamente.

"La questione delle dita, certo. Lei ne sa qualcosa di serial killer?"

Tutto quello che sa, gli rincresce ammetterlo, l'ha imparato da Jodie Foster. Brutta battuta, va bene, ma meglio di quella palata di letame sul fucile a canne mozze.

"Be', è un modo per cominciare anche quello. Mica Jodie Foster, no, dico i romanzi, Thomas Harris, per dire. Uno bravo, che si documenta, che conosce l'ambiente. Viene da pensare che sia più matto lui di Hannibal Lecter, solo che scrive libri invece di mangiare la gente". Di nuovo la risata a singulti.

Non ha letto i libri. Legge molto poco. Troppo poco tempo, troppo da fare. Annuisce, genericamente, e butta giù due frasi su come gli scrittori siano tutti matti, chi più chi meno.

"Matti sì, ma c'è un limite. La sa la storia del fegato con contorno di fave? Ma fa lo stesso, parliamo di un pazzo alla volta, eh? - Oh, grazie. Quanto le devo?"

Lo guarda mentre paga il barista e si spazzola il suo cannolo siciliano. L'interesse nell'affare Robespierre scivola via, lentamente. Ma il ragioniere, o il tenente, è uno che mangia veloce. Voracemente.

"Dicevamo dei serial killer, no? A farla semplice semplice: la prima vittima è un caso o un eccesso, la seconda è una conferma, tutte le altre sono un'abitudine."

Gli torna in mente un telefilm, e suggerisce l'idea del rituale, più che dell'abitudine.

"Ah, ma più o meno è la stessa cosa. Il rituale è quando uccide, i gesti che fa prima durante e dopo. Ma l'atto, l'omicidio in sé, la spinta ad andarne a cercare un'altra, è come un'abitudine. Una sigaretta tira l'altra. O una ciliegia, o un biscotto al cioccolato."

Fa presente che le cose sono molto diverse, che un'abitudine non vuol dire niente, un rituale ha un significato.

"Ah, quello sì. Ma quello va in un altro conto. Ha presente la teoria per cui un assassino vuole essere preso?"

Annuisce.

"Be', un recidivo non vuole essere preso, vuole essere ascoltato. E allora ripete sempre la stessa cosa, come un bambino. Robespierre ad esempio. Perché donne? Perché giovani e bionde? Perché taglia la testa e le dita e butta via il resto?"

Il ragionamento più ovvio è che se sono tutte come la prima, e la prima era una ragazzina bionda, allora anche le altre devono esserlo. O no?

"Sì, ma anche la prima l'ha scelta. Seguendo il suo ragionamento, che non è mica sbagliato, per carità, la prima l'ha scelta uguale alla numero zero. Mi sbaglio?"

Le vittime, ricorda, sono solo otto.

"E come si fa a trovare la numero zero, se non era ancora una di una serie? Magari è morta per disgrazia, magari è ancora viva, magari è solo un'idea o un ricordo."

La moglie, o un'amante, o qualcosa così.

"No, niente sesso. Le uccide vestite, e anche da morte toglie solo sciarpe e guanti. Una figura femminile tabù: la sorella? La madre?"

Suggerisce la figlia.

"Ecco, la figlia. La sculacciata finale: un ceffone alla nuca con qualcosa di pesante, poi un paio di cesoie da giardiniere per tagliare il collo e le dita. Le dita si fa presto, ma tagliare un collo, anche esile, con le cesoie... ci vuole una certa forza, non crede?"

Chiede dove saltino fuori le cesoie. Non ne ha mai letto sui giornali.

"Basta comprare i giornalacci giusti, quelli che corrompono gli agenti di polizia per farsi dare i dettagli più morbosi", e ancora singhiozza risa. "Ad esempio, lo sapeva che le dita le mette, ordinate, davanti alla testa, mentre il resto del corpo lo tuffa nel laghetto, poveretti i cigni?"

Fa notare che in quel modo si sa perfettamente chi è la vittima.

"Vero, vero. Anche se le impronte digitali non servono a niente. Non crederà che il Ministero dell'Interno abbia schedate tutte le ragazzine sotto i diciotto, vero?"

Suggerisce l'idea di un simbolo, un messaggio metaforico.

"Ah, ma lei ha ragione. Come il corpo in acqua, sotto il ponte. Diciamo che il nostro Robespierre uccide ogni volta la figlia..."

Lascia correre, senza suggerire alternative.

"...la figlia, che è scappata di casa e non si è più fatta vedere. Il ponte, l'acqua che scorre: idee come di viaggio, non le pare? Di cose che vanno e non tornano più."

Sibila, sorridendo, qualcosa come sgualdrina vagabonda!, e fa il gesto di dare un colpo con un bastone. Il ragionier tenente sorride di rimando, e suda come un carrettiere.

"Sgualdrina vagabonda, già. E poi un colpo alla nuca, e poi le cesoie. Sempre nello stesso modo, sempre nello stesso punto, tanto dopo mezzanotte i giardini sono chiusi."

E poi, prosegue, a casa, a togliersi di dosso le tracce e gli indizi.

"Gli schizzi di sangue. Ce n'è parecchio, a tagliare un collo, e anche le mani non scherzano. E poi il fango, che lì dal laghetto ce n'è sempre un dito o due, specie di questa stagione. Le stesse cose, ogni volta, senza nemmeno bisogno di pensarci."

Il rituale.

"L'abitudine. All'ottava vittima, ormai è abitudine. Cose fatte automaticamente, in sequenza preordinata, come una macchina."

La voce del ragioniere è scivolata in un altro registro, le incertezze sparite, nessun intercalare a disturbare la sintassi. Se ne rende conto, a malapena, e la cosa lo disturba.

"E lo sa qual è il rischio peggiore, a far le cose per abitudine? E` il rischio che il ricordo del passato si confonda col ricordo del presente. E` il rischio di agire senza pensare e pensare senza aver agito. Si dimenticano dettagli, piccolezze. Si commettono errori."

Perché una frase così innocua lo fa sentire a disagio? Perché ha voglia di alzarsi dal bancone e andarsene?

"Piccoli errori, piccoli lapsus. Come un assassino che vuole farsi arrestare. Ad esempio, si torna a casa, ci si sbarazza del soprabito insanguinato, e poi visto che ormai è passata l'alba si va al bar, come tutte le mattine. Con gli stivali. Sporchi di fango."

Lo sa benissimo che non dovrebbe farlo, ma quando se ne accorge, e comincia a maledirsi, è già tardi. Ha già abbassato la testa, lo sguardo, a cercare i piedi tra uno sgabello e l'altro.
Mocassini.
Puliti.
Come è ovvio che siano. Non è stato questa notte.

"Non oggi. Sabato scorso."

Una delle mani del ragioniere (no, del tenente) è sulla sua spalla. L'altra è in tasca, attorno alla rivoltella d'ordinanza o comunque a una pistola. Fuori, tra la vetrina e l'edicola e la chiesa e i portici, tre o quattro in divisa e probabilmente altrettanti in borghese. Il barista è sparito. Vigliacco. Con un buon cliente come lui...

"Vogliamo andare?"

Vogliamo andare.



Concezione e realizzazione: Matteo Scarabelli. Un sentito ringraziamento a Blind Ben per lo splendido titolo.

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