Sei Vecchio...
di Francesco Barilli

Quella mattina Fabrizio Cabras si era alzato con la luna storta. Fosse qualcosa nella cena precedente, un virus in agguato, o un colpo di freddo non lo sapeva; sta di fatto che il suo sonno tormentato non gli aveva portato riposo, ed in bocca sentiva un sapore amaro andare a braccetto col senso di oppressione che gli pesava sulla testa.

Per prima cosa andò in bagno, e prima di lavarsi si guardò allo specchio. Fu proprio la sua immagine a parlargli, con poche ma incisive parole: "Sei vecchio, ed hai vissuto invano".

Non fraintendete. Non si tratta di un'immagine surreale o di un'espressione allegorica. Lo specchio non parlò a Fabrizio; gli specchi non parlano, si limitano a ritornare ai nostri occhi un'immagine conosciuta e familiare, trasmettendoci brevi messaggi sullo stato delle nostre occhiaie, dei nostri capelli, della nostra barba. E questi messaggi sembrano arrivare da un imparziale osservatore, ma non trascendono mai in giudizi; quelli ce li formiamo poi autonomamente, con l'oggettività di cui siamo capaci.

E' proprio qui che troviamo l'eccezionalità del caso capitato a Fabrizio. Non in qualche accadimento fantascientifico ed unico, ma nel giudizio lapidario che quel mattino sostituì il consueto messaggio asettico.

Inutile dire che a Fabrizio sfuggirono tutte queste riflessioni, ma non per questo restò meno sorpreso. Con uno sforzo mentale già in partenza saputo inutile cercò di fermare il tempo attorno a sé, tentando così di ricreare l'attimo in cui aveva sentito quella voce. Poi provò ad analizzare meglio la propria immagine riflessa, cercando qualche segno che giustificasse, nei suoi 34 anni portati bene, quel giudizio. I capelli bianchi sulle tempie non erano aumentati, e se il suo aspetto non era roseo di salute lo doveva solo a qualcosa di contingente, un virus, un colpo di freddo, una cena disordinata...

"Sei vecchio, ed hai vissuto invano"...

Non era vecchio, e la seconda parte del giudizio (quella più crudele) era perlomeno avventata e prematura. Non era vecchio, e non avrebbe comunque potuto fare nulla per evitare di diventarlo; e una vita, si disse, non è mai vissuta invano.

Perso nei suoi pensieri si vestì indossando automaticamente un impeccabile completo grigio, e si diresse al lavoro. Entrò in ufficio, e come tante altre volte in passato trovò che la segretaria aveva lasciato un computer acceso ed alcuni armadi aperti. Che questi inconvenienti fossero davvero gravi o frequenti non era vero, ma quel mattino Fabrizio si sentiva vittima non solo di quel malessere non ben definito, ma anche di quel giudizio pesante che non sapeva né spiegare né respingere. Per questo decise di riprendere con decisione la ragazza, quando si fosse presentata al lavoro, ma il suo arrivo ed il suo saluto fecero venire meno questa decisione.

Nel saluto di Patrizia (come aveva potuto non accorgersene prima!) trovò finalmente spiegato quell'accento che tanto lo urtava da tempo. Non si trattava del tipico risentimento di una segretaria verso il capo ufficio, né di un rancore spiegabile con qualche episodio passato. Non si può parlare, in effetti, di risentimento di alcun tipo, ma di un disprezzo che coinvolgeva tutto quello che lui era o faceva, nella sostanza e nella forma. Si accorse che proprio nel "ciao" dell'impiegata, proprio in quella finta dimostrazione di confidenza (quanto più dignitoso sarebbe stato per lui un distaccato "buongiorno"!) poteva trovare le stesse tracce del giudizio mattutino.

"Sei vecchio, ed hai vissuto invano"...

Pensò che una telefonata amica sarebbe bastata a sollevarlo. Non chiuse nemmeno la porta dell'ufficio, e quando si dovette preoccupare di nascondere le proprie espressioni affettuose al maschile si sentì ancora più debole e sconfitto. Gli sembrò che quella paura e quella vergogna rivelassero la sua sconfitta umana nello stesso modo impietoso usato dalla propria immagine riflessa.

Assimilare la paura di vedere scoperta la propria omosessualità a causa di un imprudente "caro" alla sensazione di smarrimento provata la mattina fu un processo immediato per Fabrizio. Non altrettanto immediato è spiegare i motivi di questa analogia. Erano state entrambe rivelazioni improvvise di fatti certi ed immutati da anni. La propria immagine specchiata l'aveva tradito quella mattina, pur essendo consueta ormai da tempo, se non per piccoli ed insignificanti dettagli. In ugual modo il timore di una possibile divulgazione della propria omosessualità aveva ragione d'essere da molto prima, ma solo allora l'aveva sentito pesare sulle spalle ed avvampargli in faccia.

Appese il ricevitore e si rese conto che i tasti della macchina da scrivere di Patrizia, nell'ufficio accanto, avevano ripreso a battere in quel momento.

Ci sono giorni che non nascono fortunati, ma che hanno il potere di aprirci gli occhi su quello che ci circonda: "Sei vecchio, ed hai vissuto invano"... E sono mesi che i tuoi colleghi sentono le tue telefonate e sanno della tua omosessualità. La tua giacca, la tua cravatta, il tuo potere di capo ufficio non impediranno che i loro "ciao" siano pieni di scherno e disprezzo, e non impediranno a te di sentirti un ostaggio dell'altrui pietà.

Lo colse un'altra folgorazione: non poteva rimproverare Patrizia per le sue "disattenzioni" per paura. Paura non di una sua reazione, ma di rivedere, nell'espressione conseguente dell'impiegata, il verdetto del mattino, quel verdetto che tante volte aveva voluto negare, nello stesso modo in cui il nostro subcosciente ci difende da certi sogni, cancellandoli dalla memoria.

"Sei vecchio, ed hai vissuto invano"...

Sentendo che il malessere stava aumentando (probabilmente perché la depressione stava mutando in disperazione, non aiutando certo il suo stomaco in subbuglio e la sua testa confusa e pesante) si congedò dai colleghi, non curandosi delle loro risposte, della loro preoccupazione di facciata.

Arrivato a casa pensò che un bagno caldo l'avrebbe aiutato. Aprì l'acqua calda e miscelò la fredda... Ecco, così... Sì, quella sensazione sulla mano lo fa sentire vivo... Non scotta più, va bene...

Tornò alla camera da letto, per cercare la biancheria di ricambio. Sentì allora dei brividi alla schiena, brividi di malattia, e pensò di stendersi sul letto un attimo, mentre la vasca si riempiva. I brividi aumentarono, e si rannicchiò tirando verso di sé le ginocchia e raccogliendo il capo, mentre la febbre stava salendo.



Concezione e realizzazione: Matteo Scarabelli. Un sentito ringraziamento a Blind Ben per lo splendido titolo.

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