Un'Altra Frontiera
di Francesco Barilli
"Per cortesia, Dottor Zanacchi, può venire al sodo?"
La voce era sempre la stessa, veniva dalla prima fila. Al buio Alessandro non riusciva a riconoscere il volto, ma gli bastava il tono, assolutamente perentorio. Già due volte era stato interrotto dalla stessa voce, sempre con inviti analoghi, sempre con lo stesso tono.
Quella mattina si era svegliato emozionato ed entusiasta. Era convinto che avrebbe trovato davanti a sé una platea attenta, interessata ed ammirata. E nella sua mente aveva già fantasticato un futuro roseo, per sé e per l'umanità... Ora più che deluso era sorpreso: non era un uomo presuntuoso, e credeva che l'attenzione gli fosse dovuta non per qualche forma di rispetto alla sua persona, ma per l'argomento della sua ricerca e ancor più per le sue conclusioni.
Guardò i fogli sparsi sulla lavagna luminosa. Guardò il cono di luce che univa il proiettore e lo schermo. Ascoltò il ronzio del proiettore. E gli sembrò che quella voce quell'oscurità e quel ronzio l'avessero svuotato di tutto l'entusiasmo. Provò comunque a riprendere con voce professionale.
"Certo... Forse è inutile che davanti a questo consesso io illustri le ricerche circa i benefici che l'assunzione della sostanza XZK darebbe ai malati di cancro, benefici che arriverebbero per certe patologie alla guarigione totale. E' ugualmente inutile che io mi dilunghi su terminologie e significati noti a tutti, in questo consesso. E' certo più utile andare alle conclusioni della mia relazione... Che del resto voi tutti avete in mano..."
"E che tutti abbiamo già letto, esatto. Accendete le luci, per favore."
Al richiamo della solita voce Alessandro sentì i passi di un assistente, il suono secco dell'interruttore, il crepitare dei neon che si accendevano. I suoi occhi impiegarono alcuni secondi ad adattarsi alla nuova luce. Guardò la platea, e finalmente riconobbe il suo interlocutore.
"Sono sorpreso. Davvero... Non faccia caso se il mio sguardo non lo testimonia: ho passato anni a coltivare la capacità di ostentare superiorità ed indifferenza. E' un mio talento personale. Sono sorpreso, dicevo, che un uomo come lei, impiegato qui da noi da quindici anni e con un curriculum, se lo lasci dire, per nulla significativo, sotto ogni profilo, sia arrivato a tanto. Quando noi ci arrivammo, dieci anni fa, ci volle un'equipe di ricercatori molto qualificati...
"Ora è lei ad essere sorpreso, vero? Sì, i risultati della sua ricerca sono esattamente gli stessi che ho qui nella mia cartella... Tenga, tenga; dia pure un'occhiata. La relazione è firmata dal professor Max Marinov, dell'Università di Graz, ma come le dicevo è il risultato di una ricerca condotta da un'equipe internazionale. Ma tornando alla mia di sorpresa, devo confessarle che, più dei suoi "brillanti" risultati, mi ha sorpreso che lei si sia ritenuto autorizzato ad utilizzare il suo tempo presso di noi per questa ricerca piuttosto che per i suoi compiti consueti... Dott. Longari, con che mansione è assunto il nostro buon Zanacchi? Ah, ecco, già: tecnico di laboratorio... Dunque, cosa le ha fatto ritenere che la sua ricerca sulla guarigione dal cancro fosse più importante?"
"Ma..."
"Ma un cazzo, scusi. Non mi interrompa; odio diventare villano e volgare. E non c'è bisogno che risponda a domande retoriche. E' chiaro che lei, arbitrariamente, ha dedicato gran parte del suo tempo a quella ricerca, trascurando le sue mansioni. Lei credeva davvero di aver scoperto chissà cosa, vero? Ma, mi dica, si è mai fermato un attimo a domandarsi perché tutte le cure farmacologiche sono tese a prolungare la vita del malato, spesso inducendo una dipendenza che porta a dosaggi sempre più massicci e di solito limitandosi a rallentare il decorso della malattia? Non ha mai pensato che più un malato resta in vita più noi guadagniamo? Oh, sì, guadagniamo, eccome! Tutti noi, lei incluso.
"E' già tanto se non decido di assumere nei suoi confronti provvedimenti disciplinari. Dopotutto l'entusiasmo dei giovani è un bene che, se incanalato adeguatamente, può rivelarsi prezioso per la nostra Società. E ho ragione di pensare che lei abbia imparato la lezione, oggi. Si tenga pure la sua relazione e ci faccia quello che le pare. Mi creda (e qui le sto dando un consiglio da amico, se ha abbastanza intelligenza per coglierlo) non troverà molte altre porte aperte, su questi argomenti."
Detto questo l'uomo si alzò e se ne andò, senza degnarlo di uno sguardo. Anche gli altri astanti se ne andarono in silenzio, alcuni riservandogli sguardi compassionevoli. Ad Alessandro restò solo l'immagine confusa di un gregge che se ne usciva, e non ricambiò quelle occhiate, che non aveva nessuna intenzione di considerare benevole.
Tornò a casa. Non gli riuscì di mangiare, quella sera. Si sedette e scrisse un racconto molto simile a questo, sul retro delle pagine della sua relazione. Alla fine era esausto; rilesse il racconto e lo stracciò, mentre alla televisione una voce fuori campo commentava la notizia del primo essere umano teleportato da New York a Parigi.
Spense la televisione sulla frase "un'altra frontiera che la scienza abbatte fra Umano e Divino". Non era mai stato tanto lontano dal vedere nell'uomo una scintilla di divinità.