Cut
di Francesco Barilli
Alle dieci di sera il bar dell'Hotel Santa Ana di S. Paolo è ancora affollato, più affollato di quanto m'aspettassi. Sui tavoli rotondi tovagliette azzurre splendono di nuovo e pulito sotto lampade dai bei paralumi con lunghe frange, ricordandomi per contrasto la tirchieria del mio direttore, che mi ha invece alloggiato in una squallida pensione, tanto simile a quelle peggiori della riviera Adriatica. Riconosco subito Cut. Sarebbe possibile il contrario? Gioca a carte con tre uomini con le spalle da pesi massimi. Firma distrattamente un paio di autografi a due ragazzine particolarmente fortunate. Due anziani turisti lo squadrano da sotto i loro "panama", e sembrano valutare con disapprovazione i piercing che porta all'orecchio sinistro, al labbro inferiore e al naso.
Lo riconosco subito, dicevo, ma ugualmente estraggo dal portafogli la sua foto, che lo ritrae durante un concerto. Com'è possibile, mi chiedo, che questo ragazzotto, ciabatte e jeans corti sbrindellati sopra il ginocchio, sia il nuovo idolo delle folle, l'uomo che nella foto brandisce un microfono quasi fosse una spada e che qualche centinaio di ragazze stanno attendendo fuori, nella speranza di rubarne un sorriso, uno sguardo, una carezza, forse un bacio?... Ripongo la foto e m'avvicino.
"Mr. Cut?".
Mi fa cenno di sì e di avvicinarmi. Mi presento.
"Rinaldi" dico, e lui mi indica una poltroncina davanti a sé. Estraggo il registratore portatile e schiaccio il tasto play. Il consueto ronzio dà il via all'intervista. Gli faccio due domande informali, tanto per rompere il ghiaccio. Mi racconta di essere molto stanco, e via di seguito con le consuete balle su quanto sia stressante la "vita da star". Mi offre uno scotch, che accetto.
Gli domando della sua musica, ma mi sembra più annoiato di quanto dovrebbe. Intendo dire che (lo capisco bene) sentirsi fare le stesse domande qualche decina di volte ogni mese non è certo l'esperienza più stimolante che ci sia, ma mi aspetterei un po' più di entusiasmo da uno che sta parlando di ciò che crea ogni giorno.
Provo allora ad entrare maggiormente nel personale. Le sue origini, la famiglia. Solita storia di bassifondi ed emarginazione, botte prese e restituite, vita fatta di espedienti, forse più illegali che legali, ma non necessariamente immorali. Dannazione e Redenzione, tutto a causa e grazie al dio Denaro.
Gli chiedo se non gli pesino sulla coscienza i due ragazzi morti a Donington. Dovevano essere tanto simili a lui, solo pochi anni fa, prima che la fortuna lo baciasse. Sono finiti schiacciati dalla folla mentre Cut incitava la gente a venire più vicino al palco. Mi risponde di no, non si sente responsabile. C'è un servizio d'ordine che deve fare il proprio lavoro, impedire certe cose non spetta a lui. Sembra pensarlo davvero. Sembra pesargli maggiormente il colore della sua pelle meticcia. Tiene a sottolineare che vuole essere giudicato per la sua musica, e non per il colore della sua pelle. Gli rispondo che non è affatto mia intenzione "giudicarlo", sotto qualsiasi profilo, e che comunque il suo fenomeno a mio avviso c'entra solo in parte con la sua musica, e molto con ciò che lui è o rappresenta. Questo era il senso della mia domanda sulla contraddizione che vedevo fra il colore della sua pelle ed il valore di quelle sue parole (forse falsamente riportate o forse solo incaute): "I Brasiliani sono una massa di straccioni merdosi, pronti a far fottere i figli per quattro soldi". Inutile dire che non ottengo una risposta.
E' a questo punto che tiro fuori la storia di Manuela. Di Manuela e di suo padre, Miguel Romario. Volevo lasciarla stare fino alla fine dell'intervista. Volevo conquistarmi la fiducia di Cut prima, e magari cercare di conoscerlo un po' meglio. Di solito è così: conosco meglio la gente, provo subito solidarietà (o almeno comprensione) e vado a caccia di sensazioni. Mi scordo che il mio è un lavoro; così, proprio nel momento in cui dimentico di esserlo, mi riesce meglio fare il giornalista.
Miguel Romario ha 50 anni, una moglie di 45 ed aveva una figlia di 17, con cui divideva affetto e incomprensioni, come è normale dappertutto fra genitori e figli. Miguel Romario da due giorni è un uomo morto, nel senso che vive ancora, ma la sua vita è andata distrutta e per lui, d'ora in avanti, difficilmente ci saranno giorni felici.
A raccontarmi tutto è stata Sonia, la moglie. Miguel da due giorni non fa che piangere. Non parla e non mangia. Sonia è una donna forte. Non scavo nel suo fatalismo e nella sua origine. Il mio mestiere me ne darebbe il mezzo, non il diritto. E' una donna di 45 anni, una mamma brasiliana che assomiglia a qualsiasi mamma italiana, solo con la pelle più scura. Miguel non voleva che Manuela andasse al concerto di Cut. Aveva sentito di Donington e dei disordini a Rio, poi non gli andava giù quella frase (chissà quanto vera) di Cut sul Brasile e i brasiliani. Manuela ha insistito, ma il divieto è diventato solo più aspro. Si è tolta la vita aprendosi le vene con un coccio di bottiglia. (Chissà perchè l'ha fatto così. La vita dovrebbe valere ben più di un coccio aguzzo o di un diniego che brucia).
Cut non mi risponde. Meglio così, forse: le mie riflessioni avrei dovuto tenerle per me, e non esprimerle ad alta voce. Solo ora giro verso lui il mio registratore. Non sa neanche di cosa sto parlando. Non legge i giornali, e solo ora capisco quanto questo "eroe" sia in realtà solo una marionetta nelle mani di manager, organizzatori, procacciatori d'affari, infami magnaccia senza morale che nascondono tutte quelle notizie che potrebbero instillare qualche dubbio nella loro gallina dalle uova d'oro.
Vent'anni che lavoro e ancora, a volte, ci casco. Prima regola di un giornalista: sei senza emozioni; tu non lavori CON il registratore, SEI il tuo registratore, almeno finchè la cassetta gira. Ci sono volte come adesso che lo dimentico.
"Mr. Cut" gli chiedo, "che effetto fa vendersi l'anima per meno di trenta denari?".
Cut si scalda. E' molto credente e l'accostamento a Giuda non gli può far piacere, ma non credo capisca in pieno il mio pensiero. Non intendevo dargli del traditore, nè fargli alzare il suo eventuale prezzo. Intendevo che la sua anima l'ha proprio persa, che forse per lui era meglio restare nei bassifondi a vivere di espedienti.
Uno dei suoi energumeni si avvicina, Evidentemente è ben addestrato. A me non può fare a meno di battere forte il cuore, ma sono un giornalista e so cosa devo fare. L'ho imparato sotto le pallottole dei cecchini Serbi come dal fuoco incrociato in Palestina, non saranno certo le bizze e le minacce di una star pompata a farmi dimenticare che nelle mie mani c'è la piccola parte di un'arma formidabile, migliaia di lettori, il Potere di far dimettere Presidenti, di contribuire a cambiare il corso della Storia.
"Mr. Cut" gli dico, "è una cosa che non farei". Fermo il registratore. Estraggo la cassetta e l'appoggio sul tavolo.
"Se la vuole questa è sua, non c'è problema. Il pezzo si è già scritto da sé, e lei non può far niente per cambiarlo".
Lui tace per un lungo momento. Il piercing al labbro inferiore gli trema.
"Questa me la ricorderò, Rinaldi" mi dice. "E' stata decisamente la peggior intervista che ho rilasciato in vita mia".
Detto questo si volta e se ne va, lasciandomi pure la cassetta...
Ti saluto Cut, e me ne vado anch'io. Il pezzo è fatto, il ritorno alla Malpensa già fissato. Ti guardo salire verso la tua camera seguito dai tuoi gorilla. Sembri più stanco che dopo un concerto. Esco verso la mia squallida pensioncina modello Rimini. Gli adolescenti non ti attendono più. Anche gli ultimi se ne stanno andando delusi. Le ragazze fuori hanno atteso invano, non ti sei nemmeno affacciato, ti stavo intervistando io. I poster vengono ripiegati e le fotografie riposte, mentre sali le scale e vai a riposare, nell'attesa di raccogliere, domani, il tributo della folla.