di A. Serra (testi), E. Pianta (disegni)
"Gregory Hunter" nn. 1 e 2 - Sergio Bonelli Editore

Avvertenza: la presente recensione è politicamente corretta. La coerenza nel mantenere una linea editoriale per Blam! ci impone un modicum di misericordia. I dettagli più scabrosi e i riferimenti più espliciti sono quindi relegati a sede più consona

Una storia si racconta in molti modi. Col mito, la favola, il romanzo, il racconto, il teatro, il cinema, la canzone. E col fumetto, anche. Al di là del mercato, al di là delle considerazioni artistiche e delle finezze tecniche, il fumetto è un modo di raccontare una storia.

Questo è il primo, grosso macigno sulla strada del nuovo eroe bonelliano, Gregory Hunter (orsù, levatevi in piedi ed assumete una posa audace e spavalda, gonfio il petto e severo il cipiglio, quindi declamate con voce baritonale e toni da Actor’s Studio: "Il Ranger dello Spazio!"). Questa nuova creatura di Andrea Serra si rivela drammaticamente priva di un dettaglio tutt’altro che trascurabile: una storia da raccontare. Ogni breve sequenza di tavole è fine a se stessa, destrutturata, si regge in piedi a fatica per poi scivolare nel pantano di una continuità platealmente artificiosa. Il risultato è talmente confuso e demoralizzante che quando finalmente il buon Serra si degna di raccontarci una storia con tutti i crismi del caso, tra la fine del secondo albo e (suppongo) l’inizio del terzo, vien voglia di perdonargli di aver fatto ricorso alla trama abusata di un fantasy scontato.

Vista qual è la storia (o meglio, quale non è), ci si può aspettare che lo stile narrativo e la caratterizzazione dei personaggi salvino la situazione. Ma, ahinoi, se Atene piange Sparta non ride. La sceneggiatura di Gregory Hunter è, nei punti migliori, di qualità discutibile; nei punti peggiori è trash, nel significato originario di "immondizia". C’è chi parla di voluta ingenuità dal sapore retrò, di un "ritorno alle origini" del fumetto, che renderebbe giustificabili (anzi, indispensabili) i ricorsi alla narrazione esplicita, le interminabili didascalie, le caratterizzazioni filiformi. Sia anche questo il caso, i difetti restano gravi ed evidenti: i dialoghi monocordi e scontati quando non ridicoli (le ultime due tavole del primo albo sono un capolavoro di umorismo involontario), il ricorso continuo alle "frasette caratteristiche" (esasperante... il protagonista sembra non riuscire a formulare più di tre frasi senza metterci dentro un "faccia da scimmia" o un "pelosone"), le scene d’azione disperatamente statiche nonostante il moltiplicarsi di linee cinetiche di gusto nipponico, le narrazioni verbose ma tutt’altro che auliche (fino all’imperdonabile breccia nella "quarta parete", col Monaco Errante che parla di "sequenze" e si mette a contare gli albi), la comparsa o la menzione di personaggi che sembrano esser lì al solo scopo di fare presenza. Più che alle origini del fumetto, Gregory Hunter pare appoggiarsi alle produzioni televisive degli anni ’70 e ’80, con tanto di leitmotiv tappabuchi e con la "spalla" che sembra Burt Ward in un costume da orango (per tutti i personaggi insopportabili, Batman!).

Volendo ancora concedere il beneficio del dubbio, si potrebbe sperare che almeno su questa testata, vista la pretesa "novità" del personaggio, non tornino a presentarsi i brutti vizi della Bonelli di fine millennio. E invece eccoli là, rinvigoriti da nuova linfa: il Sosia del Personaggio Famoso (nello specifico, uno Yul Brynner sotto anfetamine con un ghigno da cartoon di Tex Avery) e il Saccheggio a Man Bassa dal Patrimonio della Cultura Popolare (marginale nel secondo albo, fastidioso fino alla nausea nel primo).

Il disegno, infine, mantiene una qualità media rispettabile, salvo prodursi in occasionali clamorosi svarioni di proporzioni e prospettiva (il Monaco a pagina 7 del primo albo valga come esempio); gli sfondi sono curati e dettagliati, ma nel bianco-su-nero lasciano a desiderare. Particolarmente mal realizzate sono le onomatopee e il lettering dei titoli di capitolo, che variano, con poche eccezioni, dallo scialbo al discontinuo al semplicemente brutto.

Con un po’ di evoluzione e una maggiore coesione narrativa Gregory Hunter è una serie destinata a migliorare col tempo, anche perché per peggiorare ha ben poco spazio. I presupposti per una buona serie di "avventura per amor dell’avventura", sotto sotto, ci sono; purtroppo, nella migliore delle ipotesi, il risultato finale sarà un prodotto per adolescenti, difficilmente godibile da parte di lettori più smaliziati. In ogni caso è una strada in salita, e si parte con parecchia zavorra.

recensione di Matteo "Abe Zapruder" Scarabelli

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