![]() di Manfredi Toraldo (testi), David Messina et al. (disegni) |
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Immobili attraverso il tempo, immani nelle loro proporzioni, esseri ultramondani segnano la Terra come immense pietre miliari; attorno a loro si radunano persone, case, una città, la vita. Un'immagine limpida, suggestiva, istantaneamente accattivante. Partendo da questa e con l'aiuto di metafore antiche, come i Tarocchi e gli apocrifi biblici, Manfredi Toraldo costruisce il canovaccio su cui ricamare le storie di Arcana Mater, approdata in libreria nei mesi scorsi con l'inizio del suo primo arco narrativo.
In viaggio da una città all'altra due persone, due storie intrecciate tese verso lo stesso finale: Mary, madre di un bambino, Adam, che possiede l'innato e proibito dono della Magia; Caino, su cui nessuno può levare la mano, enigmatico Custode di tutte le Storie tranne la sua. Entrambi cercano la Città Invisibile, retta dal settantottesimo Demone, il più misterioso e potente: il solo che possa togliere al piccolo Adam il suo dono innato, e salvargli la vita; il solo che conosca il passato di Caino, l'unica storia che Caino stesso non conosce. Ad ostacolarli i servi dei Demoni, i potenti e mistici Domini Canes. Una storia fantasy di sapore biblico-mistico, con tutti gli stilemi del genere: dal tema messianico, alla Ricerca come viaggio iniziatico per conoscere o per trascendere la propria natura, allo sdoppiamento tra il piano reale e il piano onirico (in cui il piccolo Adam è più cresciutello e tutt'altro che indifeso). Una storia tracciata sulle metafore dei Tarocchi: ventuno arcana maggiori e cinquantasei minori (uno per Demone) e una settantottesima carta, il Matto, elusiva e inafferrabile.
I dialoghi, ben scritti ed efficaci, soffrono purtroppo di non frequenti ma netti cali di stile (un tratto ahimé caratteristico delle produzioni indipendenti), e a rimetterci è spesso la buona lingua: inflessioni quasi dialettali, o termini ibridi come l'esclamazione "hei" in luogo dell'italiano "ehi" (o dell'anglosassone "hey", a scelta). Certo non ci lamentiamo: si è visto di ben peggio in "onorate" traduzioni o in "premiate" opere mainstream nostrane.
I disegni del secondo numero, Principio Ingannatore sono dell'esordiente Sonia De Nardo: un tratto più pulito, meno violento nei chiaroscuri, con un retrogusto di bande dessinée (guardatevi i raggi di luce a pagina 16...); quasi troppo semplice, a volte, specie sui campi lunghi. Un esordio promettente, di cui certamente vorremo vedere un seguito. Dei numeri successivi non abbiamo che schizzi e abbozzate anteprime, dal tratto "sporco" e caratterista di Giorgio Cantù (n. 3, Di Fumo negli Occhi e Profili Antichi, nonché autore del logo che vedete ad inizio recensione) al dettaglio fine del tandem Tamantini / Mantovani (n. 5, Tempio Immobile). Menzione d'onore, scontata e d'obbligo, alle copertine di Roberto De Angelis, di chiara fama bonelliana, che speriamo di vedere al lavoro sull'intera serie
C'è da sperarci, anche perché la pubblicazione è di buon livello sia come contenuti che come formato (48 pgg. in b/n, belle grandi, con una copertina abbastaza rigida da tenerlo in piedi ma abbastanza semplice da non far lievitare il prezzo), e il prezzo è tutt'altro che esoso, per un prodotto da libreria. Un acquisto caldamente consigliato, se vi piace il fantasy - o se, come il sottoscritto, credete fermamente nel sostegno al fumetto indipendente di qualità. recensione di Matteo "Abe Zapruder" Scarabelli |
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